Il castello – Franza Kafka

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Trascinato dall’onda insistente e forte di Kafka, mi sono imbattuto in questo libro anzi in questo castello, libro incompiuto e senza tanti giri di parole, libro che mi ha lasciato un pò con l’amaro in bocca perchè ho fatto troppa fatica a seguire e a capire quello che Kafka probabilmente voleva dire. Certo il fatto che non sia stato finito, non aiuta a dare un giudizio preciso e conclusivo di questa opera, ma ripeto ho avuto difficoltà nel finirlo perchè in alcune parti l’ho trovato troppo lungo, ma è un parere di un lettore ignorante e non studioso di Kafka.

E’ tutto molto generico, tutto molto misterioso come il nome del protagonista e cioè K. forse è l’autore stesso o forse no, ma fin dall’inizio non ci sono dati certi e questo mi ha fatto perdere magari diversi significati, certo è che questo castello lo si vede imponente lassù in alto, ma raggiungerlo sembra impossibile, sembra un luogo tenebroso, a volte angoscioso, dove al suo interno si svolge la più lenta e macchinosa burocrazia di tutti i tempi e regola i rapporti tra i funzionari e gli abitanti del villaggio in cui approda all’inizio il signor K. che è stato chiamato( ma anche questo non si sa se sia vero o no) per svolgere il ruolo di agrimensore per il conte del castello.

Questo castello è inarrivabile per il protagonista, sembra un non luogo, assenza di parola di comunicazione ma nello stesso tempo il castello è il mezzo per il quale tutto va avanti tra popolo e chi governa, si sente ironia, ma anche angoscia quasi solitudine di un uomo che sembra(ho scritto molte volte sembra perchè son mie sensazioni nulla più) non possa niente per sovvertire un ordine prestabilito da sempre. Come del resto la nostra società di oggi, troppo impegnata per chissà quali cose ma poco disponibile ai problemi dei singoli uomini, cittadini!

3 pensieri su “Il castello – Franza Kafka

  1. Né in questo libro, né in nessun altro, troverai la parola “ebraismo”, ma è quella la chiave di tutto (sì, lo so, adesso ne capisci anche meno di prima…) L’ebraismo orientale, per la precisione, quello della cultura yiddish, dei chassidim ecc., che da una parte respinge perché è un mondo arretrato, perché dietro la facciata si nasconde una bella botta di sporcizia e di corruzione, e tuttavia a ben guardare sono loro i veri puri, e per questo quel mondo, contemporaneamente, attrae. Probabilmente non è stato completato perché non c’è alcuna conclusione possibile. E forse, dopotutto, è proprio questa infinitezza la sua chiave di lettura.

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      • Si racconta che durante le serate nei caffè in cui leggeva i suoi racconti, mentre leggeva si ammazzava dalle risate, al punto da dovere spesso interrompere la lettura. E il medico che lo ha assistito nei suoi ultimi istanti di vita (come sicuramente saprai è morto piuttosto giovane di tubercolosi) ha raccontato che ad un certo momento ha detto: “Dottore, non se ne vada” “No, non me ne vado” “Ma me ne vado io” e un attimo dopo è morto. Capace di fare dell’umorisimo su se stesso e sulla propria morte fino al suo ultimo istante.
        Poi c’è da dire che soffriva di insonnia cronica, e l’insonnia distrugge i nervi e induce alla depressione, che non è la condizione migliore per essere allegri, ma pessimista a tutto tondo, no, non lo definirei proprio.

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